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friend of the month: Vasilij Grossman "Life and Destiny"

lunedì 26 ottobre 2009

Dell'acciaio e della ferraglia


Muoio, dunque fui.

Mastica e sputa.
Fuma.
Bevi birra.
E avrai bisogno di pisciare.

Quando, generale, ritroverò il pensiero di pisciare?

Hai qualche domanda, soldato?
Hai lo spazio per qualche domanda dentro un ventre buio di metallo che ha occhi
là fuori
dove una donna bellissima gomitolo cerca la figlia fra i buchi dei tuoi spari, soldato?
Hai occhi fra i tuoi ricordi, soldato?
Hai già dimenticato il tuo errore che fu morte per l'altro, soldato?
Hai paura, hai rispetto, hai lingua, hai sete, hai caldo,
hai idea del perchè sei qui?


I Siriani? Cosa c'entrano i Siriani?
In che guerra siamo?

Come muore un carro armato, e dove va, da morto?
In un vicolo cieco, dentro un mirino dai capillari rotti,
contro un bersaglio ignoto, in fila indiana dietro corrotti sconosciuti.
Noi abbiamo finito, generale, lei non capisce. Lei non sa neppure dove siamo.

L'uomo è d'acciaio, questo carro è solo ferraglia.

SPARASPARASPARARUOTARUOTARUOTA
si spezzano i denti, mi si spezza il cuore, mi si rompe il fiato
ZITTOZITTOZITTO
PARTIPARTIPARTI

di olio nero, di lacrime bianche
s'imbrattano le ore tutte uguali dentro un casco rovesciato pieno di morti,
tanti morti da non saper più contare

perchè ho imparato a contare?

Hai ancora parole per i tuoi affetti là fuori, soldato?
Perchè vi ho lasciato dire che non sarei morto?
Abituatevi lentamente alla mia morte rapida, vecchi genitori.


Non c'è bisogno di troppa trama. Nè di troppi spazi, per contenere interi girasoli di dolore rappreso in un buio che sta sotto un sole cocente, prima, e sotto una notte illuminata da stelle catarifrangenti al fosforo, stelle fumogene, poi.
Quanti sono? Quattro? Niente in confronto a chi morirà e a chi piangerà i morti. Solo uno- uno solo che basta a descrivere tutti gli altri- non piange più. Sta seduto e non guarda chi è morto lì accanto a lui, ma guarda te, che uccidi senza sapere come si fa, senza sapere come fai.
Su quattro ciascuno fa la sua parte. Come se fossero su un palco di teatro, e l'atmosfera si fa, era, sarà sempre così, perchè di guerra si tratta. E la guerra è una e sono centomila.
Ma il modo di iniettarcela sottopelle di Maoz è tetragono. Ci si muove, ma dentro un mondo rigido, sempre uguale a se stesso. Un mondo sporco ("dobbiamo pulire, non si può far la guerra in questo sporco", ma tutto è sporco in guerra e ci si rade con schiuma bianca su faccia nera) dove non si capisce più niente. Finchè non si ricorda, finchè non si piscia.

In un film dove nessuna scena dura più di quanto deve, e tuttavia risulta insopportabile (da accettare), in questo film la scena più lunga, quella più calda ritrae due soldati "nemici" ( I Siriani che c'entrano i Siriani?) nell'atto di evacuare una strana specie di catarsi. La speranza è liquida. E' quella che cola lungo i quadranti del carro e finisce in un unica pozza, assieme a volti, paure, sudore, pazzia, sigarette, schiuma di birra, sangue.

NON SIETE PREPARATI A QUESTO FILM, NESSUNO LO E' AL SUO MASSIMO VOLUME.

LEBANON regia di Samuel Maoz
Leone D'Oro alla 66MostradelcinemadiVenezia







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