
E' un dito a cinque punte che punta e li riconosce.
E' una roca lingua di rock che su quel dito si arrota e resuscita, il morto.
Colma lingua ascoltata a perdifiato da innumerevoli orecchie, pronte a sussultare pur senza mai conoscere il nome del colpevole.
Gli Afterhours vanno ovunque. E ci ritornano. Ogni volta seguiti da chi non li hai mai capiti, o da chi li ha capiti una volta per sempre. Forse perseguiti dalle leggi della buona musica, che li vogliono dentro i festival, dentro i teatri, dentro le sale da concerto, e i circoli arci. Comunque, sempre dentro.
Vengono a Firenze, abitano il palco cerimonioso di musiche mortorizzate come se fosse un letto sfatto ma, pur sempre il loro. Fanno sogni strani, e li raccontano al buio degli effetti di Staino Graziano. Nascondono sotto le loro coperte un repertorio che sembra il grande sogno di tutti, fanno spazio-nel loro cuore a due piazze- a giovani voci. Voci belle, anche se troppo abitate da parole che non riescono ancora a lasciare spazio a docili pause.
Entrano in scena, uno ad uno, come i sogni che si incastrano li uni negli altri.
Atto primo, Manuel unico. Lettore immaginifico di storie senza immaginazione.
A musica in scena, attinenti sembreranno essere tutti i pezzi venuti fuori da esperienze vissute chissà da chi, per essere poi vissute un pò da tutti.
Forse è facile creare spiedini di parole pronti per la cottura. Ma non è comune riconoscere la provenienza genuina della carne che è stata per prima infilzata da quei testi.
Afterhours-Teatro Comunale Firenze-20/03/2010
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