"a smattering of everything, and a knowledge of nothing"

To Pages and Pages again

friend of the month: Vasilij Grossman "Life and Destiny"

mercoledì 7 settembre 2011

domenica 28 novembre 2010

glueing lust. Subtitle: the center is not cool enough

Klaxons 'Twin Flames' from Trim Editing on Vimeo.




'50s costumes & daily morals. There is a lust that glues generation together and is twin to flaming morals of the eyes that look and diet.
Let's wait until the first stone will be cast on this video.

Something interesting to listen to. They'll soon come to Milan and Rome.Then, why these music's sons always go south/north and never stop in the centre (chiantiortortellinishire)?

domenica 2 maggio 2010

O MAYBE I



O MAYBE I

should advise you to

listen


pay attention

not forget

respect

get inspired


http://chapelclub.com/


(instructions to be followed while watching the pics on site)






Il Guardian parla per epica. Moderna. E' istruttivo, come le risposte alle cinque domande che pone. Una domanda per ogni personaggio. Cinque giovani che per esigenze di copione epico si incontrano nell'unica Londra che valga la pena di conoscere: quella fashionable. Il destino, già previsto per superare coloro di cui si serve, si chiama "soundscapes". Le parole, quelle degli standard anni '30, ormai come interiorizzate.
I suoni, quelli del new wave e delle sue frequenze cadette.
Lo stile, le scelte immaginifiche familiari ai talk talk, maybe?

Il fuck è esplicitamente concesso: di suono e pensiero urbano in fondo trattasi.



martedì 23 marzo 2010

Sabato ammazzato, sabato resuscitato

Sono loro, i milanesi, ad ammazzare il sabato.
E' un dito a cinque punte che punta e li riconosce.
E' una roca lingua di rock che su quel dito si arrota e resuscita, il morto.
Colma lingua ascoltata a perdifiato da innumerevoli orecchie, pronte a sussultare pur senza mai conoscere il nome del colpevole.


Gli Afterhours vanno ovunque. E ci ritornano. Ogni volta seguiti da chi non li hai mai capiti, o da chi li ha capiti una volta per sempre. Forse perseguiti dalle leggi della buona musica, che li vogliono dentro i festival, dentro i teatri, dentro le sale da concerto, e i circoli arci. Comunque, sempre dentro.

Vengono a Firenze, abitano il palco cerimonioso di musiche mortorizzate come se fosse un letto sfatto ma, pur sempre il loro. Fanno sogni strani, e li raccontano al buio degli effetti di Staino Graziano. Nascondono sotto le loro coperte un repertorio che sembra il grande sogno di tutti, fanno spazio-nel loro cuore a due piazze- a giovani voci. Voci belle, anche se troppo abitate da parole che non riescono ancora a lasciare spazio a docili pause.

Entrano in scena, uno ad uno, come i sogni che si incastrano li uni negli altri.

Atto primo, Manuel unico. Lettore immaginifico di storie senza immaginazione.
A musica in scena, attinenti sembreranno essere tutti i pezzi venuti fuori da esperienze vissute chissà da chi, per essere poi vissute un pò da tutti.

Forse è facile creare spiedini di parole pronti per la cottura. Ma non è comune riconoscere la provenienza genuina della carne che è stata per prima infilzata da quei testi.

Afterhours-Teatro Comunale Firenze-20/03/2010

martedì 9 marzo 2010

The winning menace of being (Invictus)

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.


Nelson Mandela avrà forse pensato di essere unico. Partirono in molti, e poi (forse) tutti finirono con il crederci.

Si arresero all'evidenza che circonda i grandi, come l'aureola d'oro circonda i santi.

Morgan Freeman è bravo, Clint Eastwood pure.

Clint Eastwood è un bravo, bravissimo, ottimo regista: ci dimostra che i Nelson Mandela sono almeno due. perchè l'altro all'anagrafe risponde al nome di Morgan Freeman.

Morgan Freeman ha gli occhi di Mandela, la sua purezza coriacea, un disegno, e pure un piano, che comunica con i piani celesti e che sembra condividerne la prospettiva e gli spazi.

Morgan Freeman ha l'incedere dei grandi, che pur occupando pochissimo spazio riescono ad aprirne uno grandissimo.

Morgan Freeman ha il volto dell'uomo solo, eppure accerchiato dallo spessore abitatissimo dello statista.

*** *** ***

Clint Eastwood è anche un ottimo preparatore atletico perchè ci fa partecipare alle mischie lasciando le magliette candide ma gli spiriti scossi. E desiderosi di birra.

Clint Eastwood è un tour operator con i fiocchi perchè ci porta in trasferta in finale, senza farci spostar dalla poltroncina fila N del bel cinema Odeon -già Palazzo dello Strozzino- di Firenze.

Clint Eastwood è sorprendente, nella sua capacità di descrivere il rugby come solo il rugby- da dentro- sa descriversi.

Clint Eastwood è capace di misurare la lunghezza spaziale di una cella, e quella spirituale, bellissima, dei trent'anni che l'hanno abitata.

INVICTUS-(2009) regia di CLINT EASTWOOD


Alice (once) in the wonderland


Simone Rea-Alice nel paese delle meraviglie, tavola selezionata al concorso Figures Futur 2006


Burton attacca. Attacca Alice al chiodo.

Anni prima Artaud l'aveva messa in manicomio. Ma per riappropriarsi di sè.

Burton, invece, taglia, cuce, rattoppa con scampoli (già da lui usati) e finisce solo col cadere nel triste peccatuccio d'ingegno del III millennio: il copia/incolla.

La nuova Alice che è sognatrice solo nel mondo reale di borghesi abborghesati- talmente posticci da sembrar più protesi che persone- rotolò tanto in basso da cadere nell'ancor più vieto mondo dell' epica biblica. Là, dove tutto ha un senso solo nella missione. Sicchè non solo Alice deve salvare il Wonderland, ma anche se stessa: scapperà in un vascello pronto a conquistar la Cina con le proporzioni del bagno di servizio della barca a vela di Briatore.
Cambiano i tempi, e pure le proporzioni. Ma perchè Burton abbia cambiato il giusto afflato psichedelico che ad Alice fu dato nell'ormai lontano 1951 non è chiaro. Il ritmo dell'Alice giovinotta si guadagna solo i nostri sbadigli. I personaggi, anche quelli che circondano i cattivi, sono banalotti, poco caratterizzati (solo truccati sono) così che non suscitano nè curiosità, nè stupore, nè indignazione (anzi forse questa sì!). I buoni sono ovviamente buoni, tanto da farci venire la voglia di diventar cattivi. I dialoghi sono scritti a penna: peccato, fossero stati scritti a matita si sarebbero potuti cancellare senza problemi. Tutti passano per lo schermo, ma non lasciano alcun ricordo.
Alice, senza il suo grembiule bianco, sembra anche privata di presenza scenica. Fa, disfa, cresce, si fa minuta, ma sembra quasi non accorgersene. Procede per il sentiero -già segnato- come la recluta compie gli esercizi del percorso di addestramento.
Il cappellaio matto, che appare gongolante nelle locandine in una colorata insalata di funghetti, è un personaggio disfatto nei lineamenti e pure nella spina dorsale dal trucco stesso che ce lo consegna sullo schermo. Encefalogramma piatto è il suo secondo nome. Terra bruciata di cappellaio matto il nome della tinta dei suoi capelli.

"Questo è il mio sogno, devo solo aspettare che finisca" continua a ripetere Alice, finchè non si fa convincere dalla cricca dei suoi amici a far quel che deve fare (l'avessero costretta a fare una rapina, almeno sarebbero stati più imprevedibili).

Le auguriamo anche noi che finisca presto.