"What's the sound of one hand clapping?" E' questo il Koan che JD Salinger piazzò alle costole del lettore di "For Esmè: with love and squalor". L'uso del koan, quello dei silenzi. La capacità marcata di incidere personaggi, il loro incredibile desiderio di saper, eppur, vivere. L'aspirazione all'essere dell'individuo che non rifugge, ma che combatte il prevalere. Di qualsiasi cosa. Anche del successo e delle sue richieste.
JD Salinger nacque il 1 Gennaio 1919 a New York. [So far as the present population is concerned, there is a cleavage between those who have come to the city as adults and those who were born and raised there, for a New York childhood is a special experience] Nel 1940 scrive la sua prima storia. 10 anni impiega a scrivere "The catcher in the rye". Del 1965 l'ultima sua pubblicazione "Hapworth 16, 1924". Del 1965 l'ultima sua apparizione. Oggi è morto.
"It may be hard for an egg to turn into a bird", ragionava con la sua creativa eppur sensatissima logica il troppo poco compianto C.S.Lewis. Forse, da quell'irlandese di nascita che fu, non si sarebbe stupito di sapere che un giorno proprio un uovo sarebbe stato trasformato, da chi dell'estro fa mestiere, in un de(si)gn-issimo strumento di raccolta rifiuti.
[Io lo fui, stupita, e subito colpita m'affrettai ad acquistar, lusingata dall'affare che ricevetti dietro l'angolo (perdonate se lascio la vicenda personale esposta seppur criptica, ma dell'affar fatto in vita non si può se non vantarsene in quella stessa vita che quasi solo per questo ci è concessa)].
Trattasi di questo: Gianluca Soldi che ha conseguito vari titoli e a quelli ha aggiunto una curiosa specializzazione in bio-architettura ed Arte Sacra, si è poi "inteso" con l'imprenditore Stefano Guizzotti e da questo acchiapparsi è nato Habitare, un'azienda che cita Balthazar, per identificare i propri obiettivi; che usa un pesce stilizzato in stile primo cristianesimo, per darsi un logo; e che progetta e realizza oggetti di sicuro impatto e di certo uso. Se l'idea della sedia inginocchiatoio incuriosisce (e pur facilmente piace, nella sua realizzazione così snella), ciò che qui si viene a sbucciare con descrizioni, gridolini e sinceri entusiasmi è: Mr Bin, Re-cycling Bin, italianizzato e personalizzato con OVETTO. Qualsiasi scheda tecnica, che meriterebbe piuttosto l'aggettivo di boriosa, spiegherebbe che ovetto è fatto a spicchi, interni, contenitivi, di tre diversi colori così che ogni spicchio permetta una raccolta differenziata. Aggiungerebbe che in capo porta uno schiacciabottiglie per rendere il cimitero del riciclo più spazioso - a forza di strizzar i cadaveri-. Vi direbbe poi che ovetto è fatto in percentuale variabile (ma sempre alta) di materiale riciclato-cosa forse che aprirebbe i vostri orizzonti di perdizione del gusto o basso gusto-. Se la scheda tecnica fosse fatta da un collaudatore d'auto aggiungerebbe anche che è molto stabile e affatto rumoroso. Concluderebbe, per farvi infine aprire gli occhi, che la forma del suo contenitore a "ovo", i suoi colori, uniti ad una linea morbida e affusolata, ne fanno un oggetto di design che si adatta a tutti gli ambienti. E che, dico io, ne avreste bisogno di questa precisazione? Semplicemente, OVETTO è delizioso, vi evita di spargere per casa, nascosti chissà dove, sacchetti riottosi che sempre riescono a perdere di vista un rifiuto. Prende spazio, ma nemmeno troppo. Ripropone il gioco della combinazione colore-uso che, volenti o nolenti, ci accompagnerà finchè morte non ci separi da occhi e mente. E' una presenza silenziosa ma volitiva... diciamo così. Il prezzo è giusto, se lo si vede come un oggetto di design, un pò alto se considerato nella stagione dei saldi, o se avete altre priorità.
Controindicazioni? Finire col trovare sempre una nuova scusa per avere un pezzo di carta o un burattino di plastica da buttare...
Ho ascoltato gli Armstrong? Prima su disco e poi su palco. E mi è piaciuto pensare che a volte ciò che nasce da una domanda è capace di portare con sè un Senso. O una risposta. A quella, e ad altre domande. O, ancora, una motivazione nuova tale da rendere qualsiasi risposta indifferente infine alla domanda. Per farmi capire: ho letto recentemente, in una deliziosamente breve recensione che il gruppo che qui cito creates a wave that washes over the listener. Oltre a convenire con questo, e altri giudizi là espressi a proposito degli Armstrong?, ho finito con il compensarmi dal non aver compreso l'origine del nome del gruppo con la seguente conclusione: gli Armstrong? spazzano via qualsiasi domanda (o pippa che dir si voglia) con il washing over della loro musica.
Mai uso della parola fu più felice e descrittivo. Per capirlo occorrerebbe mettersi sotto il palco di un concerto dei Nostri, come ho fatto io a Prato al capanno blackout- piacevolissimo distributore di musica indieandothergenres nato dalla cura investitrice dello scampolo di profitti dell'industria tessile locale-. Premesso che dispiace sempre scoprire come giovani fighetti non sappiano sempre riconoscere la puzza di buona musica, neanche quando viene messa loro sotto il naso, e preferiscano ibernare outdoors accanto a neon truccati, piuttosto che godersi un ottimo concerto confezionato con arte sartoriale in modo da non durare più giri di quanti l'orecchio possa contenere. Premesso che gli Armstrong? sono in tre ma si stringono a coorte, così da sembrare un esercito collaudatissimo di artigiani della musica. Concesso che i loro suoni, nel caso toscano, erano distribuiti da un bravissimo sound engineer che aveva la verve d'un direttore d'orchestra. Vogliamo dire qui che da Torino è arrivato un gruppo che finalmente! ci fa usare i punti esclamativi, dopo gli interrogativi di prammatica e di nome(d'arte). Che ci conquista non con immaginette sacre da distribuire con carico di glosse e citazioni, ma con lo stile privato e di gusto del design (creato dall'altra vita che conducono alcuni di loro), che racchiude o schiude i loro dischi. Che ci piace per quello che fa e per come lo fa: con una serietà, una concentrazione e una grinta delicata per la quale sul palco ciascuno di loro mi ha fatto pensare ai personaggi di un trittico. Ciascuno perfettamente compreso nello spazio musicale del proprio strumento, e insieme collegato allo schema, alla struttura d'insieme. Così, Roberto alla chitarra inserisce le voci in modo essenziale ma particolarmente intenso, come una spezia che c'è, ma quasi non si sente. Marco incide fin dalla prima nota lo spazio e il tempo dentro un potentissimo tamburo musicale. Stefano sostiene tutto con un basso suonato sapientemente e con picchi bellissimi che sempre più raramente la musica di queste nuove frequenze millenarie ci concede. Armati di un vasto catalogo di strumentazione, questi uomini dalle braccia magre devono aver fatto un patto con quel diavolo che certi rumor fanno risiedere nel triangolo satanico cui la capitale piemontese si dice appartenga.
Si ringrazia dunque il diavolo e tutti i punti interrogativi che li hanno spinti a creare un suono che s'impone e che demands attention. E si invita alla degustazione, o anche solo all'assaggio: qui.
Mastica e sputa. Fuma. Bevi birra. E avrai bisogno di pisciare.
Quando, generale, ritroverò il pensiero di pisciare?
Hai qualche domanda, soldato? Hai lo spazio per qualche domanda dentro un ventre buio di metallo che ha occhi là fuori dove una donna bellissima gomitolo cerca la figlia fra i buchi dei tuoi spari, soldato? Hai occhi fra i tuoi ricordi, soldato? Hai già dimenticato il tuo errore che fu morte per l'altro, soldato? Hai paura, hai rispetto, hai lingua, hai sete, hai caldo, hai idea del perchè sei qui?
Come muore un carro armato, e dove va, da morto? In un vicolo cieco, dentro un mirino dai capillari rotti, contro un bersaglio ignoto, in fila indiana dietro corrotti sconosciuti. Noi abbiamo finito, generale, lei non capisce. Lei non sa neppure dove siamo.
L'uomo è d'acciaio, questo carro è solo ferraglia.
SPARASPARASPARARUOTARUOTARUOTA si spezzano i denti, mi si spezza il cuore, mi si rompe il fiato ZITTOZITTOZITTO PARTIPARTIPARTI
di olio nero, di lacrime bianche s'imbrattano le ore tutte uguali dentro un casco rovesciato pieno di morti, tanti morti da non saper più contare
perchè ho imparato a contare? Hai ancora parole per i tuoi affetti là fuori, soldato? Perchè vi ho lasciato dire che non sarei morto? Abituatevi lentamente alla mia morte rapida, vecchi genitori.
Non c'è bisogno di troppa trama. Nè di troppi spazi, per contenere interi girasoli di dolore rappreso in un buio che sta sotto un sole cocente, prima, e sotto una notte illuminata da stelle catarifrangenti al fosforo, stelle fumogene, poi. Quanti sono? Quattro? Niente in confronto a chi morirà e a chi piangerà i morti. Solo uno- uno solo che basta a descrivere tutti gli altri- non piange più. Sta seduto e non guarda chi è morto lì accanto a lui, ma guarda te, che uccidi senza sapere come si fa, senza sapere come fai. Su quattro ciascuno fa la sua parte. Come se fossero su un palco di teatro, e l'atmosfera si fa, era, sarà sempre così, perchè di guerra si tratta. E la guerra è una e sono centomila. Ma il modo di iniettarcela sottopelle di Maoz è tetragono. Ci si muove, ma dentro un mondo rigido, sempre uguale a se stesso. Un mondo sporco ("dobbiamo pulire, non si può far la guerra in questo sporco", ma tutto è sporco in guerra e ci si rade con schiuma bianca su faccia nera) dove non si capisce più niente. Finchè non si ricorda, finchè non si piscia.
In un film dove nessuna scena dura più di quanto deve, e tuttavia risulta insopportabile (da accettare), in questo film la scena più lunga, quella più calda ritrae due soldati "nemici" ( I Siriani che c'entrano i Siriani?) nell'atto di evacuare una strana specie di catarsi. La speranza è liquida. E' quella che cola lungo i quadranti del carro e finisce in un unica pozza, assieme a volti, paure, sudore, pazzia, sigarette, schiuma di birra, sangue.
NON SIETE PREPARATI A QUESTO FILM, NESSUNO LO E' AL SUO MASSIMO VOLUME.
LEBANON regia di Samuel Maoz Leone D'Oro alla 66MostradelcinemadiVenezia
Laddove il lirismo della loro voce riesce ad esorcizzare i più bisbetici scetticismi, il volto chiamato a celebrare le loro messe di gesti compiti e compiuti, invece: - contrappone - sovrappone - esaspera
E la coerenza (dovuta a qualsiasi gesto e oltre, a qualsiasi progetto artistico) finisce con il perdersi in un fosso di immagini spennacchiate di luce.
Quali sono i lineamenti dell' arte se pare non esserci più differenza fra il giocare aIndovina chi? e il fruire del prodotto artistico? Quando, nel primo caso si tratta di riconoscere il personaggio misterioso sulla base di elementi forniti, e nel secondo, molto più semplicemente, si finisce col trovare sempre i soliti elementi per personaggi anche diversi. Si guarda questo video e si pensa che, seppur delicata e evocativa, la rincorsa delle gambe delle donne attorno alle loro sottanone dall'Alpi alle Piramidi, e il conseguente brulicare di elementi e situazioni è eccessivo. E fuorviante come i ricordi portati a galla da luce modesta di polaroid.
E' sempre più evidente che nell'era del post, post (blog), dell'imposto, tutto è lecito tranne che reagire-male- a scaltri pacchetti pubblicitari. Se l'era della copertina dei dischi è stata spazzata via da freschi e sintetici piani di sviluppo a cavallo fra l'artistico, l'artigiano e l'artefatto, non è detto che, in nome della praticità e della raccolta di vuote immagini a perdere, noi ci si debba rallegrare.
Auspicherei che la bella musica si staccasse dall'inciucio pasticcione degli artisti che ancora vogliono descrivere "quello che vedono dalla finestra della loro camera". Degli artisti che scambiano la semplicità, la frugalità e la passione per il dettaglio con una natura morta di intenti. E per questo portiamo ad esempio un volto noto, e la sua faccia puritana, la facciamo uscire da acque luride per dimostrare come non è un semplice tocco a dare il tocco, ma la mano che lo dà.
Di fronte a questo video, invece, ci si ritrova imbracati in maglie che puzzano di naftalina con artisti dalla pretesa sartoriale in base alla quale una scelta artistica - discutibile, quindi- sarebbe automaticamente capace di confezionare la veste più nobile (parole e spiegazioni degli autori di musica e video, qui).
Troppe spiegazioni nascondono scarso volume e tante conoscenze da zeppare. Questo video ne è la prova cieca.